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A chiunque prenda, verrà dato
23.02.2023, Finanza e fiscalità
Con la nuova imposizione minima, in origine l’OCSE intendeva rendere un po’ più equo il sistema fiscale internazionale applicato alle imprese. Il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati hanno trasformato tale intenzione nel suo contrario.
Sul piano tecnico l’imposizione minima è indubbiamente molto complessa, ma a livello di pura politica interna il suo calcolo è molto semplice. L’ex ministro delle finanze svizzero Ueli Maurer è stato molto rapido nel farlo quando il Consiglio federale ha presentato il progetto per l’attuazione nazionale dell’imposizione minima a giugno dello scorso anno: «Se la Svizzera non prende i soldi in più, lo faranno gli altri», ha dichiarato. Tuttavia, per chi si batte a favore di una maggiore giustizia fiscale globale, come Alliance Sud, il ragionamento va fatto al contrario: i Paesi del Sud globale che ospitano controllate di gruppi di imprese svizzeri ricevono i soldi in più solo se non li prende la Svizzera.
Il fulcro dell’attuazione svizzera dell’imposizione minima è la cosiddetta imposta integrativa nazionale (nel linguaggio dell’OCSE “Domestic Minimum Top-up Tax, DMTT”). Essa garantisce che le multinazionali che in precedenza pagavano meno del 15% di imposte sui loro utili contabilizzati in Svizzera saranno ora soggette a percentuali fiscali aggiuntive che porteranno le aliquote effettive al minimo OCSE del 15%. Per esempio, una multinazionale attiva nel ramo delle materie prime del Cantone di Zugo finora pagava l’11% di imposte sugli utili. In futuro dovrà pagare imposte supplementari fino a coprire la differenza del 4%. Fin qui tutto bene, ma l’imposta integrativa nazionale nasconde un’insidia per la politica di sviluppo, che non sostiene affatto: tutto il gettito fiscale aggiuntivo rimane nel Cantone di Zugo, dove ha sede la multinazionale specializzata in materie prime. I Paesi del Sud del mondo dove l’impresa estrae le materie prime che poi commercia da Zugo rimangono a mani vuote. A torto, perché i profitti su cui i gruppi di imprese pagano le tasse in Svizzera spesso non sono realizzati qui, ma nei Paesi produttori del Sud globale - nel caso di un’impresa di materie prime, ad esempio, in una miniera di rame in un Paese africano.
I Paesi del Sud in cui le multinazionali svizzere hanno controllate ricevono i soldi dell’imposizione minima solo se la Svizzera non li prende. In altre parole, solo se la Svizzera non introduce l’imposta integrativa nazionale. Potrebbe farlo senza problemi poiché, a differenza dell’ultima riforma del sistema fiscale internazionale applicato alle imprese, questa volta l’OCSE, il G20 e l’UE non si basano su sanzioni contro i Paesi che non si adeguano, ma proprio su quegli incentivi di natura economica che Ueli Maurer ha splendidamente riassunto nella citazione sopra riportata.
L’attuazione svizzera non è un contributo a una maggiore giustizia fiscale globale
Per i Paesi economicamente svantaggiati del Sud del mondo in cui operano le multinazionali svizzere, l’imposizione minima non rappresenta un passo avanti, anzi si tratta addirittura di un passo indietro, per i seguenti motivi.
a) L’aliquota dell’imposizione minima è troppo bassa: le aliquote fiscali sugli utili nei Paesi produttori del Sud globale sono generalmente comprese tra il 25% e il 35%. L’imposizione minima del 15%, molto più bassa, non garantisce loro alcun gettito aggiuntivo. Nella primavera del 2021, gli Stati Uniti avevano chiesto un’aliquota fiscale minima del 21% sotto la nuova amministrazione democratica di Biden. Poi la Svizzera, insieme ad altri Paesi a bassa tassazione come l’Irlanda e il Lussemburgo, ha negoziato con successo una riduzione dell’aliquota. È quanto dimostra una lettera di Ueli Maurer al Segretario generale dell’OCSE Mathias Corman dell’autunno 2021.
b) L’imposizione minima non impedisce il trasferimento degli utili: le multinazionali trasferiscono gli utili che realizzano con la produzione in Paesi ad alta tassazione a Paesi a bassa tassazione con aliquote fiscali molto ridotte. In questo modo risparmiano parecchie tasse nei Paesi produttori, ma allo stesso tempo permettono ai Cantoni svizzeri di tassare a basse aliquote utili che non sono nemmeno stati realizzati nel nostro Paese. Ne è un esempio il caso del commerciante di materie prime agricole svizzero-lussemburghese Socfin. Inoltre, l’équipe di economisti guidata dal professore di Stanford Gabriel Zucman mostra che l’anno scorso le multinazionali hanno trasferito 111 miliardi di dollari di utili in Svizzera. Il 39% del gettito totale dell’imposta sull’utile in Svizzera, pari a 22,7 miliardi di dollari, proviene da questo fenomeno di profit shifting. Tuttavia, il calcolo non include il trasferimento degli utili da molti Paesi del Sud, perché mancano i dati fiscali necessari. Comunque, casi come quello citato della Socfin di Friburgo dimostrano che gli importi di tale trasferimento di utili probabilmente siano molto più elevati. Da uno studio degli economisti Petr Janský e Miroslav Palanský del 2019 emerge che ogni anno almeno 80 miliardi di euro di utili vengono trasferiti dai Paesi in via di sviluppo a Paesi a bassa tassazione come la Svizzera. Tuttavia, ad oggi resta impossibile dire con esattezza quanto di questo denaro finisca in Svizzera a causa dei già citati problemi di dati nei Paesi d’origine nonché per la mancanza di trasparenza degli standard contabili svizzeri. Anche con l’introduzione dell’imposizione minima, la Svizzera continua a essere un obiettivo attraente per il trasferimento di utili dai Paesi in via di sviluppo.
c) L’imposizione minima limita l’autonomia fiscale dei Paesi del Sud del mondo: se la Svizzera introdurrà l’imposizione minima, priverà i Paesi del Sud globale che ospitano controllate di multinazionali svizzere del diritto di tassare tali controllate secondo le proprie leggi fiscali nazionali. Questi Paesi non potranno più applicare misure unilaterali alle controllate delle grandi imprese svizzere, come una ritenuta alla fonte sui pagamenti transfrontalieri infragruppo superiore al 9% (che è la soglia ancora consentita dalle nuove norme OCSE). Ciò comporta ulteriori perdite fiscali nei Paesi interessati.
Quindi questa riforma non solo lascia a mani vuote i Paesi economicamente svantaggiati del Sud globale, ma limita ulteriormente la loro indipendenza fiscale. Per cercare almeno di ridurre questa ingiustizia globale, Alliance Sud a marzo 2022 ha proposto che una parte delle entrate aggiuntive previste in Svizzera venga restituita ai Paesi a basso reddito del Sud del mondo. Ciò avrebbe potuto avvenire facilmente mediante gli strumenti del finanziamento della cooperazione internazionale o del finanziamento climatico internazionale. Nella discussione parlamentare sul disegno di legge svizzero, tuttavia, non è stata prestata attenzione all’impatto che l’imposta integrativa svizzera avrà sui Paesi del Sud globale. Sviluppi come questo potrebbero anche essere una delle ragioni per cui importanti economie africane come la Nigeria e il Kenya hanno annunciato che non introdurranno l’imposizione minima. Tuttavia ciò serve a poco a questi Paesi se hanno a che fare con multinazionali la cui sede si trova in un Paese che, come la Svizzera, vuole introdurre un’imposta integrativa nazionale: il gettito fiscale aggiuntivo viene percepito in quest’ultimo e i diritti di tassazione del Paese nei confronti delle controllate sono ridotti.
Misure di promozione della piazza economica
Secondo la volontà del Parlamento, solo il 25% del gettito aggiuntivo dell’imposizione minima rimarrebbe al governo federale. Il restante 75% andrebbe ai Cantoni. Ad approfittarne sono soprattutto le due note regioni di bassa imposizione fiscale Zugo (commercianti di materie prime) e Basilea Città (industria farmaceutica). Anche il modo in cui verranno utilizzate le entrate fiscali aggiuntive è già in gran parte chiaro. Nel caso della Confederazione, in conformità con il Decreto federale le entrate devono essere utilizzate esplicitamente per misure di promozione della piazza economica. Molti Cantoni hanno già annunciato misure di questo tipo, probabilmente soprattutto sotto forma di riduzioni delle imposte sul capitale o delle imposte sulle persone fisiche con redditi elevati (ad esempio manager del gruppo). Sono in discussione anche nuovi accordi speciali tra le autorità fiscali cantonali e le multinazionali in cui lo Stato si fa carico di una parte dei costi operativi, misure di promozione della ricerca per start-up (legate al settore farmaceutico) (a Basilea) o addirittura sovvenzioni per i salari nelle multinazionali.
Insomma, il gettito aggiuntivo dell’imposizione minima in Svizzera non sarà utilizzato a beneficio della comunità, come richiesto dalla sinistra in Parlamento, ma tornerà alle multinazionali stesse. Entrate aggiuntive che, si noti bene, di solito derivano dal trasferimento degli utili dei gruppi da Paesi con aliquote fiscali superiori al 20 o 25 per cento. Dal punto di vista delle multinazionali, questo è un trucco sofisticato: le entrate fiscali che le grandi imprese multinazionali svizzere sottraggono agli altri Paesi trasferendo i loro utili in Svizzera e facendoli tassare qui con aliquote molto più basse verranno ora riutilizzate in Svizzera a beneficio proprio di queste imprese. Non c’è da stupirsi che associazioni di imprese come Economiesuisse o Swiss Holdings vogliano a tutti i costi questa riforma, anche se a prima vista i loro membri dovranno pagare più tasse di prima.
Le scappatoie fiscali minano ulteriormente l’imposizione minima
Ma non è tutto: il concetto di attuazione dell’imposizione minima, presentato al Parlamento dal Consiglio federale, è anche pieno di scappatoie fiscali. Il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati non si sono occupati nemmeno di queste negli ultimi mesi. Pertanto c’è un certo rischio che, contrariamente alle aspettative, l’imposizione minima non porti ad alcun significativo gettito aggiuntivo in Svizzera. Viene quindi naturale sospettare che la maggioranza borghese a Berna voglia introdurre l’imposizione minima principalmente per proteggere le multinazionali svizzere da un’ulteriore tassazione in altri Paesi.
In ultima analisi, ciò va a scapito delle popolazioni in Svizzera e nel mondo. Le multinazionali svizzere nei Paesi poveri del Sud del mondo non si limitano a sfruttare la manodopera o a inquinare l’ambiente. Con il loro dumping fiscale, impediscono anche lo sviluppo di buoni sistemi di istruzione, sanità e infrastrutture. La legislazione svizzera sull’imposizione delle imprese in questo viene in loro aiuto in modo decisivo. Alliance Sud non può accettare un’altra riforma dell’imposizione dei grandi gruppi di imprese che in ultima analisi avvantaggia soprattutto i gruppi stessi. Essa danneggia direttamente i Paesi in via di sviluppo. La Svizzera dovrebbe invece astenersi dall’introdurre l’imposizione minima, dando così ai Paesi produttori delle multinazionali svizzere la possibilità di tassarle come meglio credono.
Per ulteriori informazioni:
Dominik Gross, esperto di politica fiscale, Alliance Sud, tel. +41 78 838 40 79