«Affinché il denaro resti in Svizzera»: è ciò che si poteva leggere sui manifesti dei favorevoli all’introduzione dell’imposta minima dell’OCSE nel nostro Paese. Con questo semplice slogan, le associazioni di multinazionali d’economiesuisse e di SwissHoldings hanno vinto la votazione del 18 giugno, con l’aiuto benevolo dei partiti borghesi. Il Consiglio federale potrà applicare l’imposta minima a partire dal 1° gennaio 2024. Se questa genererà effettivamente introiti supplementari consistenti in Svizzera, essi serviranno a promuovere la nostra piazza economica. Così, nel nostro Paese, le entrate supplementari saranno trasferite proprio alle imprese multinazionali (IMN) che ogni anno privano altri Paesi di oltre 100 miliardi di dollari di substrato fiscale e garantiscono ai Cantoni svizzeri con una bassa tassazione, come Zugo e Basilea Città, delle abbondanti entrate d’imposte sul reddito. Il fatto stesso che una tale attuazione dell’imposta minima sia possibile lo dimostra: l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), con sede a Parigi, ha fallito nei suoi sforzi dell’ultimo decennio per rendere il sistema fiscale mondiale un po’ più equo. In ciò, nulla di troppo sorprendente. In effetti, anche se più di 140 Paesi, tra cui alcune nazioni emergenti e in via di sviluppo, hanno partecipato ai negoziati su questa «riforma», a spuntarla sono stati ancora una volta gli interessi dei Paesi ricchi del nord globale.
Parità di trattamento? Solo all’ONU!
Questa realtà ha anche a che fare con la storia del cosiddetto «quadro inclusivo» (inclusive framework), creato nel 2016 dall’OCSE. La promessa allora fu quella di voler mettere tutti i Paesi in condizioni d’uguaglianza. Ma la condizione d’adesione a questo quadro è l’adozione delle regole contro l’erosione della base d’imposta e il trasferimento degli utili (base erosion and profit shifting, BEPS) che solo i 39 Paesi membri dell’OCSE (soprattutto gli Stati ricchi del Nord mondiale) avevano elaborato negli anni precedenti. Un centinaio di Paesi in sviluppo è stato escluso dal processo. Le regole in questione sono quindi fatte su misura per le nazioni benestanti del Nord. Il prezzo dell’adesione al «quadro inclusivo» è di conseguenza elevato per le nazioni in via di sviluppo. I Paesi del Sud mondiale, che ospitano una gran parte della produzione nell’economia mondiale odierna, non beneficeranno affatto dei circa 250 miliardi d’introiti supplementari che l’OCSE s’aspetta a livello planetario grazie all’introduzione dell’imposta minima.
Bisogna quindi trovare un’alternativa ed essa sta per emergere a New York: alla fine dello scorso anno, l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato, su iniziativa del gruppo dei Paesi africani e del G-77 (il gruppo di tutti i Paesi in sviluppo), una risoluzione che dà il via a un progetto di convenzione fiscale dell’ONU. Ad esempio, analogamente alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che definisce il ritmo e traccia l’orientamento della politica climatica mondiale dal 1992, questa convenzione creerebbe un quadro multilaterale veramente inclusivo per la politica fiscale internazionale. Un simile approccio consentirebbe di elaborare e negoziare dei principi di politica fiscale che potrebbero rimediare allo squilibrio fondamentale tra il Nord e il Sud nell’attuale sistema fiscale mondiale. Una convenzione fiscale dell’ONU permetterebbe di creare regole multilaterali per un sistema fiscale radicato a livello transnazionale e non più basato su accordi bilaterali. Certo, nel sistema attuale alcuni accordi multilaterali completano le regole iscritte nelle convenzioni bilaterali in materia di doppia imposizione (CDI), ma in fin dei conti sono queste ultime che determinano il modo in cui i Paesi si ripartiscono il substrato fiscale proveniente dai flussi finanziari transfrontalieri nell’economia mondiale. Spesso ciò avviene a scapito dei Paesi in sviluppo che, dato il loro minore potere economico, escono regolarmente perdenti nei negoziati bilaterali sulle CDI con i Paesi del Nord.
È giunta l’ora di un’imposizione globale
Una convenzione quadro dell’ONU in materia di politica fiscale sarebbe anche la condizione preliminare all’introduzione d’una tassazione globale delle IMN. Nell’attuale sistema fiscale, le differenti società nazionali delle IMN sono trattate come delle imprese individuali. Le IMN dovrebbero quindi essere tassate in ogni Paese in funzione degli utili che realizzano in un determinato Paese. Tuttavia, ormai da decenni, i trasferimenti degli utili sono un gran problema per i Paesi con delle aliquote fiscali relativamente elevate. Tassando i loro utili non dov’è stato creato il valore aggiunto, ma dove gli utili sono più bassi, le IMN privano ogni anno numerosi Paesi di miliardi d’entrate fiscali. Una tassazione globale renderebbe obsoleti i trasferimenti degli utili, poiché le diverse società d’una IMN non sarebbero più tassate per Paese e quindi le IMN non sarebbero più incitate a contabilizzare i loro utili laddove le aliquote fiscali sono più basse. Invece di ciò, tutti gli utili di tutti i Paesi nei quali l’IMN è attiva sarebbero addizionati e il substrato dell’imposta sugli utili verrebbe attribuito a ogni nazione secondo una formula che terrebbe conto del numero di dipendenti per Paese, della cifra d’affari e dei valori fisici (ad esempio le fabbriche). In seguito ogni Paese tasserebbe questi utili secondo le proprie regole fiscali.
L’ufficio del segretario generale dell'ONU António Guterres sta redigendo un rapporto sulla creazione di una convenzione fiscale che sarà presentata in settembre a New York, dopo la consultazione degli Stati membri dell’ONU e delle parti coinvolte. L’Alleanza globale per la giustizia fiscale (Global Alliance for Tax Justice, GATJ) e la Rete europea sul debito e lo sviluppo (Eurodad), di cui Alliance Sud è membro, sono molto coinvolte in questo processo.
La Svizzera dice no
All’Assemblea generale, la Svizzera ha votato a favore della risoluzione. Tuttavia, rispondendo a un’interpellanza del consigliere nazionale socialista e copresidente di Swissaid Fabian Molina, che s’interrogava sulla posizione del Consiglio federale sulla questione di una convenzione fiscale dell’ONU, il Consiglio federale sottolinea che sostiene «un resoconto del quadro istituzionale della cooperazione internazionale in materia fiscale» in seno all’ONU, ma rifiuta la creazione d’una convenzione fiscale delle stesse Nazioni Unite. Sembra dunque convinto di saper meglio dei Paesi in sviluppo quale sia la miglior cosa per loro. Così, in un vecchio stile coloniale-paternalistico, scrive: «Il Consiglio federale, d’altra parte, giudica discutibile l’utilità d’una convenzione fiscale delle Nazioni Unite per difendere la posizione dei Paesi in sviluppo».