«Quando cooperiamo allo sviluppo, vogliamo innanzitutto commissionare ordini all’economia locale. Ma qui si tratta della ricostruzione [dell’Ucraina]. Siamo in una logica diversa», ha dichiarato Helene Budliger-Artieda, direttrice della Segreteria di Stato dell’economia SECO, in un’intervista radiofonica per SRF nell’estate del 2024. Il riferimento è ai piani del Consiglio federale a sostegno dell’Ucraina. Il Consiglio federale intende stanziare 1,5 miliardi di franchi svizzeri nei prossimi quattro anni per sostenere l’Ucraina. Di questi, 500 milioni sono destinati a società svizzere che operano in Ucraina. Si tratta ancora di cooperazione allo sviluppo o di promozione delle esportazioni?
Si tratta dell’impopolare aiuto vincolato (tied aid), ovvero di fondi per lo sviluppo vincolati alla condizione dell’acquisto di beni e servizi dei Paesi donatori. Per questo motivo vengono spesso chiamati “buoni acquisto”. I Paesi partner non hanno altra scelta: in una situazione di emergenza, si accettano comunque i buoni della Migros, anche se così si danneggia il negozietto di paese, che a medio termine sarebbe più importante sostenere nell’interesse della popolazione locale.
Un cattivo affare per il Sud globale
Tutte le stime disponibili giungono alla stessa conclusione: se i Paesi devono acquistare beni e servizi dai Paesi donatori, i progetti costano il 15-30% in più rispetto ai casi in cui hanno la possibilità di scegliere un fornitore. La cooperazione senza contropartite non solo rafforza l’efficienza dell’impiego dei fondi e l’autodeterminazione dei Paesi partner. Promuovendo i mercati e le aziende locali, crea anche ulteriori impulsi positivi che vanno oltre i risultati dei progetti. Se si considerano i fornitori locali, si riducono anche i problemi di approvvigionamento dei pezzi di ricambio, poiché le catene di fornitura sono notevolmente più brevi. In caso contrario, i costi di manutenzione sono più elevati e possono rendere impossibile il successo a lungo termine se mancano i fondi dopo il completamento del progetto.
La storia non ci ha insegnato nulla?
L’aiuto vincolato è uno dei tasselli nel dibattito pluridecennale sull’efficacia del finanziamento dello sviluppo. Si tratta essenzialmente di due questioni strettamente legate: da un lato, una cooperazione internazionale orientata al futuro e basata su principi di efficacia ed efficienza. Il dibattito sull’aiuto non vincolato tocca quindi anche gli obiettivi di decolonizzazione: i Paesi partner dovrebbero essere in grado di determinare autonomamente il proprio percorso di sviluppo. Dall’altro, il dibattito verte sugli effetti potenzialmente distorsivi che si hanno nella concessione di fondi vincolati all’esportazione di beni e servizi dai Paesi donatori.
Inoltre si tratta di lotta ad armi pari. In effetti, i Paesi che si astengono dalla pratica dell’aiuto vincolato – cioè che indicono una gara d’appalto internazionale – criticano a ragione il fatto di essere svantaggiati se gli altri Paesi non fanno lo stesso. Per esempio, i fornitori svizzeri hanno accesso limitato agli altri mercati, mentre i fornitori internazionali hanno un buon accesso agli appalti pubblici svizzeri.
Per procedere in modo coordinato a livello internazionale, nel 2001 i Paesi donatori hanno concordato nell’ambito dell’OCSE la “Recommendation on Untying Official Development Assistance (ODA)” - Raccomandazione relativa allo svincolo dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS). L’obiettivo dell’accordo congiunto era ed è tuttora quello di attribuire il maggior numero possibile di fondi per lo sviluppo in modo svincolato, rafforzando così l’efficienza e l’efficacia della cooperazione internazionale. La comunità internazionale concorda sul fatto che questa forma di aiuto pubblico allo sviluppo è paternalistica, costosa e inefficiente.
Poca trasparenza in Svizzera
Nel confronto internazionale, se si osservano le cifre ufficiali dell’aiuto non vincolato, la Svizzera fa bella figura. Secondo un’analisi dell’OCSE la Svizzera nel 2021 e 2022 ha donato il 3% dei fondi in maniera vincolata. Tuttavia, l’analisi fornisce un quadro incompleto, poiché la cifra include solo la concessione di fondi chiaramente vincolati. In effetti, esistono anche modi informali per favorire i fornitori nazionali. Ad esempio, il gruppo di candidati può essere ristretto mediante la lingua del bando, la portata finanziaria dei progetti o la scelta del canale di comunicazione.
Non esiste un quadro preciso dell’entità dell’aiuto vincolato in maniera informale. Sulla base delle statistiche di aggiudicazione è comunque possibile stimare quanti dei fondi messi in gara d’appalto finiscono destinati a fornitori nazionali. Secondo le analisi di Eurodad, la Rete europea sul debito e lo sviluppo, nel 2018 (non sono disponibili dati più recenti) il 52% di tutto l’aiuto non vincolato è stato assegnato a fornitori del proprio Paese. Con il 51%, la Svizzera si situa nella media. Complessivamente, solo l’11% dell’aiuto non vincolato è stato attribuito direttamente a fornitori dei Paesi partner.
In Svizzera, l’aiuto non vincolato è rimasto a lungo indiscusso. Anche l’attuale progetto della Strategia di cooperazione internazionale 2025-2028 (Strategia CI) recita: «[La CI] è coerente con il diritto commerciale internazionale, che mira a impedire la concessione di sussidi in grado di provocare distorsioni di mercato a favore delle imprese svizzere. La Svizzera tiene conto delle raccomandazioni dell’OCSE DAC Recommendation on Untying Official Development Assistance». Quando si tratta di prendere decisioni sui fondi ucraini destinati alle imprese svizzere, sembra che questo impegno sia tutta apparenza. Infatti, poche settimane dopo la pubblicazione della Strategia CI, il Consiglio federale ha scritto in un comunicato stampa: «Il Consiglio federale si sta adoperando affinché il settore privato svizzero svolga un ruolo di primo piano nella ricostruzione in Ucraina». Seguendo queste intenzioni, la Svizzera vuole anche reintrodurre formalmente l’aiuto vincolato.
Contributi di base non sempre indiscussi
Secondo le linee guida dell’OCSE, i contributi di base alle organizzazioni non governative dei Paesi donatori non sono considerati aiuto vincolato, perché le ONG operano nell’interesse pubblico e non sono orientate al profitto. Tuttavia, questo trattamento di favore è controverso a livello internazionale. Negli ultimi mesi, il movimento internazionale #ShiftThePower ha chiesto che un maggior numero di fondi per lo sviluppo vada direttamente alle organizzazioni del Sud globale. Per quanto questa rivendicazione sia giustificata, vale la pena analizzare più in dettaglio come i fondi possano raggiungere le organizzazioni partner del Sud globale. Dopotutto, indire gare d’appalto per più progetti e programmi a livello internazionale non significa automaticamente che ad aggiudicarsi l’appalto saranno le organizzazioni nel Sud globale. È quindi importante garantire che vengano condotti processi di aggiudicazione che consentano alle piccole organizzazioni del Sud globale di ricevere un finanziamento di base e di non rimanere relegate al ruolo di partner nell’attuazione dei progetti. Le ONG svizzere in particolare, che vantano tutte cooperazioni solide e di lunga data con numerose organizzazioni del Sud globale, svolgono un importante ruolo di congiunzione.
Verso un futuro alla pari?
Molti Paesi non nascondono il fatto che combinano l’aiuto pubblico allo sviluppo a interessi di politica estera. Carsten Staur, presidente danese del Comitato per l’aiuto allo sviluppo dell’OCSE, ha dichiarato in un’intervista rilasciata nel 2022 che nella storia non c’è mai stato aiuto pubblico allo sviluppo che non abbia perseguito in qualche modo obiettivi di politica estera e di sicurezza.
È curioso che a volere l’aiuto vincolato in Svizzera siano proprio i partiti politici solitamente favorevoli alle regole del libero commercio. Per la CI, invece, sembra che tali regole d’improvviso non siano appropriate. Chi pensa che la cooperazione internazionale sia inefficace, con decisioni politiche di questo tipo può quindi considerarsi co-responsabile dell’impiego meno efficiente dei fondi per la cooperazione internazionale.
Per poter cooperare in modo sostenibile, efficace e alla pari, i Paesi partner dovrebbero essere in grado di determinare autonomamente il proprio percorso di sviluppo. Il fatto che noi in Svizzera dovremmo definire ciò di cui «necessitano» i Paesi partner non rende giustizia ai dibattiti internazionali sulla cooperazione internazionale orientata al futuro. Dovrebbe inoltre essere chiaro che l’aiuto vincolato è inefficiente e costoso. È quindi ora di abbandonare questa via e di investire in partenariati duraturi e paritari.
Articolo pubblicato da "La Regione" il 3 gennaio 2025.