«La Svizzera deve esprimersi in modo più chiaro sul diritto internazionale umanitario»
23.04.2024,
Cooperazione internazionale
Nell’attuale contesto di guerra, l’ex consigliera federale Micheline Calmy-Rey deplora la mancanza di una posizione chiara da parte della diplomazia svizzera. In quanto garante delle Convenzioni di Ginevra, la Svizzera dovrebbe intensificare il suo impegno a favore della popolazione civile.
Signora Calmy-Rey, a 20 anni dal lancio dell’Iniziativa di Ginevra, in Medio Oriente si sta perpetrando la peggiore guerra dalla fondazione dello Stato di Israele nel 1948. Qual è la sua opinione riguardo al ruolo della Svizzera in questo conflitto?
L’Iniziativa di Ginevra, sostenuta dalla Svizzera, rappresentava un piano di pace alternativo firmato dalle società civili di Palestina e Israele e mirava a una risoluzione globale del conflitto con una soluzione a due Stati. Nel 2022, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha ritirato il suo sostegno a questa iniziativa, pur rimanendo a favore di una soluzione a due Stati. Va detto che l’obiettivo di uno Stato palestinese è diventato secondario nell’agenda internazionale dell’ultimo decennio. Il conflitto, considerato senza speranza, è stato ignorato e si è continuato a propagare la soluzione a due Stati, ma i Paesi occidentali non hanno fatto nulla per concretizzarla. Niente lo dimostra meglio dell’indebolimento dell’Autorità palestinese. Si pensava che la normalizzazione delle relazioni tra gli Stati del Golfo e Israele avrebbe risolto il conflitto in poco tempo, ma come possiamo vedere, non è il caso. Oggi sta riemergendo l’idea di una soluzione a due Stati, ma la sua attuazione rimane difficile in quanto le questioni dello status di Gerusalemme, della colonizzazione e del diritto al ritorno dei rifugiati continuano ad attendere una risposta.
I tempi però sono cambiati. La soluzione a due Stati non è forse ancora più difficile da realizzare oggi rispetto a 20 anni fa?
Sì, ha ragione. Prendiamo l’evoluzione del numero di coloni ebrei nei territori palestinesi occupati: nel 1993 erano 280 000, oggi sono 700 000. La costruzione della barriera di separazione ha trasformato la Cisgiordania in micro-enclavi completamente ingovernabili. Oltre il 90% del territorio tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano è sotto il diretto controllo israeliano. Finora, la soluzione a due Stati non è altro che un pio desiderio.
Cosa ne pensa del lavoro della cooperazione svizzera allo sviluppo nella regione attualmente?
Mi è difficile riconoscere una posizione chiara della Svizzera. Il messaggio è incoerente. Nella sua dichiarazione ufficiale, ha invitato le parti ad adempiere agli obblighi previsti dal diritto internazionale e dal diritto umanitario internazionale. Insieme ad altri 120 Stati, ha votato a favore di una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiedeva un immediato cessate il fuoco umanitario. Tuttavia, alcuni ambienti hanno criticato questo atteggiamento. Allo stesso tempo, il capo del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) dichiarava che la Svizzera avrebbe sospeso i finanziamenti a 11 organizzazioni in Palestina e Israele, rispondendo così alla richiesta di alcuni partiti politici di esaminare l’opportunità di eliminare gli aiuti allo sviluppo alla Palestina. Alla fine, solo tre organizzazioni palestinesi sono state colpite dal blocco dei finanziamenti. Durante il dibattito sul preventivo nella sessione invernale, il Parlamento ha anche deciso di non tagliare i 20 milioni di franchi che la Confederazione versa annualmente all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi (UNRWA). Tuttavia, dopo l’annuncio del licenziamento immediato di 12 dipendenti sospettati di essere collegati all’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre, la situazione potrebbe cambiare nuovamente. Purtroppo c’è il rischio che il contributo svizzero all’UNRWA venga sospeso, nonostante l’emergenza umanitaria a Gaza.
Mi è difficile riconoscere una posizione chiara della Svizzera.
Come valuta l’annuncio della Svizzera di voler organizzare una conferenza di pace sull’Ucraina?
La Svizzera lo ha annunciato ufficialmente al WEF di Davos. Di solito, prima si tengono discussioni preliminari e si definiscono gli obiettivi dell’incontro, poi viene diramato l’annuncio ufficiale. A Davos, la Svizzera ha invertito la procedura. In ogni caso la situazione è diversa dalla classica mediazione tra due Stati in conflitto. La conferenza di pace sarà stata preceduta da quattro riunioni di consigliere e consiglieri per la sicurezza provenienti da oltre 80 Paesi. Tutte erano pubbliche, l’ultima si è svolta a Davos. È stato quindi necessario adattare il metodo. Mi fa piacere che la Svizzera stia facendo passi avanti e stia sfruttando i suoi punti di forza, che non sono affatto trascurabili. Tuttavia, in questa fase possiamo parlare solo di “pre-preparazione”.
Secondo lei che cosa succederà ora?
È improbabile che la Russia partecipi direttamente al primo vertice. Allo stesso tempo, una conferenza di pace senza la Russia è impensabile. A Davos, la nostra Presidente e il nostro Ministro degli Esteri hanno espresso il desiderio di coinvolgere la Russia. Hanno affermato che la Svizzera vuole collaborare con il maggior numero possibile di capi di Stato, soprattutto con quelli che finora hanno teso a schierarsi dalla parte della Russia. Se la Svizzera vuole davvero plasmare la discussione e non limitarsi al ruolo di Paese ospitante, dovrà anche dettare il tono in termini di contenuti. Per questo è importante la partecipazione degli Stati filorussi e della Russia stessa. Un accordo sulla maggior parte dei punti del piano di pace ucraino al momento è irrealistico. La Svizzera dovrebbe determinare in maniera astratta i punti su cui esiste un denominatore comune tra gli Stati sostenitori dell’Ucraina e quelli della Russia. Inoltre, vi sono sfide tecniche per le quali si potrebbero raggiungere accordi provvisori nell’interesse delle parti, ad esempio sul grano, sullo scambio di prigionieri, sulla sicurezza delle centrali nucleari, ecc.
Mi auguro che la Svizzera si esprima in modo più forte e chiaro per il rispetto del diritto internazionale umanitario. Dopo tutto, Ginevra è la sua culla e la Svizzera è garante delle Convenzioni di Ginevra.
Lei è stata all’origine della candidatura della Svizzera al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Che bilancio ne traccia dopo un anno di attività?
In seno al Consiglio di sicurezza la Svizzera ha potuto portare avanti la sua tradizionale politica estera. Con il Brasile, ha facilitato l’accesso umanitario dopo il terremoto nel nord della Siria. Tuttavia, è entrata nel Consiglio di Sicurezza in un momento in cui il multilateralismo è sull’orlo della crisi, paralizzato dal veto delle grandi potenze. Mi sarei aspettata che fosse un po’ più dinamica nel sostenere l’applicazione del diritto internazionale umanitario. È un peccato che non faccia di più su questo piano, poiché quello che sta accadendo in Ucraina o nel conflitto israelo-palestinese, in cui le Convenzioni di Ginevra vengono calpestate da tutte le parti, è semplicemente inaccettabile: bombardamenti indiscriminati a Gaza, attacchi criminali di Hamas del 7 ottobre. È inaccettabile che numerosi civili israeliani vengano giustiziati, che i palestinesi di Gaza siano in balia di Hamas e che venga ostacolata la consegna degli aiuti. Mi auguro che la Svizzera si esprima in modo più forte e chiaro per il rispetto del diritto internazionale umanitario. Dopo tutto, Ginevra è la sua culla e la Svizzera è garante delle Convenzioni di Ginevra.
Muro del Pianto nel quartiere ebraico della Città Vecchia di Gerusalemme.
Nel contempo, il multilateralismo sembra aver perso efficacia... Ha ancora fiducia nelle istituzioni dell’ONU e quale ruolo dovrebbero svolgere la Svizzera e la Ginevra internazionale?
Il Consiglio di Sicurezza è bloccato dai veti di entrambe le parti. Ma Ginevra è sede di molte organizzazioni tecniche e, quando si parla di erosione del multilateralismo, è importante osservare anche la situazione qui. Il Palazzo delle Nazioni è stato recentemente chiuso per quindici giorni per risparmiare sui costi di riscaldamento, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) taglierà 4000 posti di lavoro e anche l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) sta pianificando licenziamenti su larga scala. Ginevra ospita un numero impressionante di organizzazioni tecniche delle Nazioni Unite che si trovano attualmente in difficoltà. L’ONU si basa anche sui dati necessari per il buon funzionamento della globalizzazione: si occupa di frequenze di telefonia mobile, brevetti e marchi, salute pubblica, condizioni di lavoro, clima e coordinamento dell’aiuto umanitario. C’è un notevole bisogno di riforme alle Nazioni Unite. Ciò non vale solo per il Consiglio di Sicurezza, ma anche per le organizzazioni tecniche, i cui processi di lavoro devono diventare più efficienti.
Come valuta la cooperazione allo sviluppo della Svizzera? Secondo lei si dovrebbe attingere al budget ordinario della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) per finanziare la ricostruzione in Ucraina?
La priorità della Svizzera era ed è tuttora quella di aiutare le popolazioni più povere. A livello di politica estera, trovo insostenibile tagliare gli aiuti ai Paesi più poveri – aiuti che costituiscono una voce di budget regolare riportata di anno in anno e un obiettivo sostenibile della DSC – per ridirigere i fondi al sostegno della ricostruzione in Ucraina. Tale aiuto è certo un obiettivo nobile e necessario, ma speriamo anche limitato nel tempo e che a parer mio dovrebbe beneficiare di un finanziamento speciale.
Micheline Calmy-Rey
L’ex consigliera federale Micheline Calmy-Rey è stata a capo del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) dal 2002 al 2011. Ha perseguito una politica di neutralità attiva, coinvolgendo la Svizzera in diverse mediazioni internazionali e iniziative di pace. L’esempio più noto è la mediazione tra la Federazione Russa e la Georgia, che ha facilitato alla Russia di entrare nell’Organizzazione mondiale del commercio nel 2011, ma si ricordano anche le mediazioni tra Turchia e Armenia. Nel 2008, Micheline Calmy-Rey ha negoziato con successo gli accordi di rappresentanza della Georgia in Russia e viceversa.
Intervista pubblicata da "La Regione" il 22 aprile 2024.
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