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Chi teme le ONG? (parte 2)

24.03.2021, Cooperazione internazionale

La nostra democrazia beneficia del fatto che una varietà di attori porta la sua esperienza, le sue opinioni e le sue preoccupazioni al dibattito politico.

Kristina Lanz
Kristina Lanz

Esperta in cooperazione internazionale

Chi teme le ONG? (parte 2)

La sensibilizzazione è anche nel "menu" della società civile. L'Università delle Arti di Zurigo (nella foto, il Toni-Areal) gestisce un centro per l'arte e la costruzione della pace in collaborazione con l'artasfoundation.
© Christian Beutler / Keystone

La nostra democrazia beneficia del fatto che al dibattito politico partecipano molteplici attori, ognuno con le proprie specializzazioni, opinioni ed esigenze. Oltre ai vari attori economici e ad altri gruppi della società civile (come i sindacati o gli attori nell’ambito dell’educazione), anche le ONG che operano nell'interesse generale contribuiscono al dibattito democratico nel nostro Paese. Contrariamente ai rappresentanti dell’economia, che generalmente difendono i propri interessi, queste ONG si battono per cause ambientali o sociali senza scopo di lucro, conformemente al loro mandato. Il loro impegno politico è finanziato mediante le quote associative e i fondi raccolti per scopi politici specifici.

Mentre diverse personalità politiche borghesi siedono nei consigli di amministrazione del settore privato, appaiono regolarmente agli eventi di lobbying delle associazioni economiche e si oppongono spesso con veemenza a una maggiore trasparenza delle donazioni ai partiti (visto che probabilmente renderebbe determinati legami ancora più evidenti), le ONG di cooperazione allo sviluppo dovrebbero essere esaminate con la lente d’ingrandimento alla ricerca di eventuali legami politici e rappresentazioni di interessi. Allo stesso tempo, il fatto che anche altri attori e associazioni, che beneficiano di sovvenzioni statali e di altri contributi pubblici, lancino ugualmente campagne di informazione e interferiscano nelle campagne di votazione non sembra preoccupare quelle stesse personalità politiche che vogliono zittire politicamente le ONG.

Un «divieto politico» generale per le ONG che percepiscono fondi pubblici metterebbe probabilmente a tacere molte voci critiche e consoliderebbe il dominio dei lobbisti del mondo economico. Anche se questo è quello che si augurano alcuni esponenti politici borghesi, un tale divieto rappresenterebbe una dichiarazione di fallimento per un Paese che ama sottolineare la sua democrazia, la sua apertura al mondo e la sua tradizione umanitaria. Eppure, se le ONG non avessero più il diritto di svolgere attività politiche, anche per tutti gli altri contributi e le altre sovvenzioni della Confederazione si dovrebbe esaminare se i beneficiari si impegnano in ambito politico e se, in tal caso, caso dovrebbero essere interrotti anche questi contributi statali. E ciò non sarebbe certo nell'interesse dei politici interessati.

Le attività educative al centro dell'Agenda 2030

All’indomani della votazione sull’iniziativa per multinazionali responsabili, tuttavia, le attività politiche delle ONG non sono state l’unico elemento al centro delle critiche. Anche le attività di educazione e sensibilizzazione in Svizzera sono state messe in discussione. In dicembre, infatti, la DSC ha annunciato senza preavviso (probabilmente su pressione del capo del dipartimento) che non avrebbe più potuto cofinanziare le attività di educazione e sensibilizzazione delle ONG in Svizzera. Questa decisione è tanto più sorprendente se si considera che un anno prima la DSC aveva adottato nuove linee direttrici per la collaborazione con le ONG, in cui si specifica che uno dei compiti principali delle ONG svizzere «consiste nell’informare e sensibilizzare l’opinione pubblica svizzera, e in particolare i giovani, in merito alle sfide globali e allo stretto nesso tra pace, sicurezza, sviluppo sostenibile e benessere» (Direttive della DSC per la cooperazione con le ONG svizzere, 2019).

La sensibilizzazione e l'educazione relative ai temi dello sviluppo sostenibile (compresa la cooperazione allo sviluppo) costituiscono a loro volta un elemento chiave dell'Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile, sottoscritta anche dal nostro Paese. Con i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), l'Agenda 2030 si rivolge a tutti i Paesi, non solo a quelli in via di sviluppo. Chiede un cambiamento radicale nella cooperazione internazionale e invita tutti i Paesi a rendere sostenibile ogni ambito politico, considerando anche le interdipendenze globali. La sensibilizzazione e l'educazione sono essenziali per raggiungere gli OSS: per esempio, l'OSS 4 richiede che tutti i Paesi garantiscano entro il 2030 l’acquisizione, da parte di tutti gli studenti, della conoscenza e delle competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile. Ciò comprende un’educazione volta ad uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile. L'educazione allo sviluppo sostenibile ha un ruolo importante anche nel quadro della Strategia per uno sviluppo sostenibile (SSS) 2030 della Svizzera, la cui consultazione si è appena conclusa.

Sebbene le ONG siano ancora autorizzate a svolgere attività di educazione e di sensibilizzazione in Svizzera (nella misura in cui riescono a mobilitare fondi a questo scopo in altro modo), l'esclusione ufficiale dell'educazione e della sensibilizzazione dai contratti programmatici della DSC con le ONG è un grande passo indietro nella comprensione della cooperazione allo sviluppo. In futuro le ONG dovrebbero concentrarsi nuovamente sull’assistenza all'estero — come auspica anche la consigliera nazionale Schneider-Schneiter — e astenersi dal sottolineare le interdipendenze mondiali. Per esempio, le ONG possono sostenere una campagna contro il lavoro minorile in Costa d'Avorio, ma non dovrebbero menzionare che anche le multinazionali svizzere traggono profitto vantaggiosamente dal lavoro dei bambini; possono scavare pozzi in Tanzania, ma non dovrebbero menzionare che sono le attività minerarie irresponsabili delle multinazionali a contribuire massicciamente alla scarsità d'acqua; possono occuparsi delle vittime della crisi climatica in Bangladesh, ma non dovrebbero menzionare che anche il nostro stile di vita, la nostra piazza finanziaria e la nostra industria contribuiscono in larga misura al riscaldamento globale.

La Svizzera ignora le raccomandazioni dell'OCSE

Un processo di revisione tra pari (peer review) del Comitato di aiuto allo sviluppo (CAS) dell'OCSE ha valutato la cooperazione allo sviluppo della Svizzera nel 2019 e ha avanzato diverse proposte di miglioramento (come si vede dal confronto con OCSE DAC 2019). L'OCSE critica, in primo luogo, la mancanza di analisi e, soprattutto, l'assenza di dibattito sull'impatto delle politiche nazionali (per esempio finanziarie, agricole o commerciali) sui Paesi in via di sviluppo. Chiede alla Svizzera di «diffondere e discutere di tali analisi sia in seno al governo che nella società svizzera in generale». Nel contempo l'OCSE osserva che la Svizzera continua ad ottenere scarsi risultati negli ambiti della comunicazione e della sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle tematiche della cooperazione allo sviluppo. Raccomanda quindi al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) di finanziare e attuare strategie di comunicazione e di sensibilizzazione per il suo programma di sviluppo. Tale approccio dovrebbe permettere alla DSC di comunicare in maniera proattiva per rafforzare il sostegno politico e pubblico alla cooperazione allo sviluppo. Tuttavia, la recente decisione del DFAE va nella direzione opposta, come critica anche l'ex consigliera federale Micheline Calmy-Rey esponendo la sua opinione in un articolo apparso su «Weltwoche», settimanale con sede a Zurigo. La DSC continua a essere sotto tutela in materia di comunicazione e le ONG sono invitate a non comunicare riguardo a questioni di coerenza politica. Rimane da augurarsi che il Parlamento si renda conto che la democrazia svizzera può solo beneficiare di una popolazione illuminata, ben informata e politicamente attiva e di una società civile forte.

Pubblicato il 14 aprile 2021

Su Il corriere dell'Italianità

(Traduzione Nina Nembrini)

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