L’11 giugno, in occasione della Ukraine Recovery Conference (URC) a Berlino, il consigliere federale Ignazio Cassis ha presentato l’impegno della Svizzera: «In primo luogo, il settore privato svolge un ruolo fondamentale nel processo di ricostruzione. La Svizzera promuove condizioni quadro sostenibili e si assicura che le piccole e medie imprese (PMI) funzionino e rimangano competitive». In collaborazione con la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), la Svizzera ha inoltre dichiarato di sostenere un nuovo meccanismo di protezione degli investimenti privati dai rischi di guerra e di voler aderire all’alleanza per il sostegno alle PMI fondata in occasione della conferenza. Era dunque lecito pensare che il ministro degli affari esteri svizzero intendesse sostenere soprattutto le imprese e l’economia ucraine.
Tuttavia, due settimane dopo, il 26 giugno, il Consiglio federale ha annunciato l’intenzione di dare al settore privato svizzero un «ruolo di primo piano nella ricostruzione in Ucraina». A questo scopo, nei prossimi quattro anni intende impiegare un terzo degli 1,5 miliardi di franchi previsti a favore dell’Ucraina dalla Strategia di cooperazione internazionale 2025–2028. La quasi totalità dei fondi sarà trasferita dalla cooperazione bilaterale allo sviluppo della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) alla Segreteria di Stato dell’economia (SECO). L’intero “budget Ucraina” sarà gestito da Jacques Gerber, attuale consigliere di Stato PLR del Giura, che siederà nella Segreteria generale del DFAE in qualità di delegato per l’Ucraina e sarà direttamente subordinato ai consiglieri federali Cassis e Parmelin.
I piani della SECO
Per quanto si sappia attualmente, i piani della SECO prevedono due fasi. Nella prima si mira a sostenere le imprese svizzere già presenti in Ucraina, affinché possano creare o mantenere posti di lavoro. A tal fine, la Confederazione si fa carico dei rischi delle imprese, ad esempio tramite aiuti finanziari o soluzioni assicurative. L’argomento per giustificare l’impiego dei fondi della cooperazione internazionale (CI): i progetti delle imprese sostenute devono comportare una «componente di sviluppo», ad esempio misure di formazione professionale. Fin qui, tutto poco chiaro, ma si citano possibili beneficiari, come il fabbricante di vetro Glas Trösch. Inoltre, alcune delle misure mirano a incoraggiare le imprese svizzere che non sono ancora attive in Ucraina a investirvi. Ciò potrebbe pregiudicare ulteriormente l’attività delle PMI e delle aziende locali.
La seconda fase, in cui la SECO intende «privilegiare in generale il settore privato svizzero», è ancora più problematica. L’Ucraina riceverebbe denaro dalla Svizzera che potrebbe utilizzare solo per acquisti presso imprese svizzere. Tale aiuto vincolato (tied aid) è contrario alle buone pratiche della CI, ai regolamenti dell’OMC e al diritto svizzero in materia di appalti pubblici. Non esiste una base giuridica adeguata: dovrà essere creata nei prossimi mesi. Per il Consiglio federale è sufficiente un trattato internazionale con l’Ucraina, mentre la Commissione per gli affari esteri del Consiglio degli Stati ha chiesto una legge specifica. Sarà il Parlamento a prendere la decisione finale sull’intero pacchetto, come parte della strategia di CI, nella sessione invernale. Tuttavia, la decisione del Consiglio federale di concedere un trattamento preferenziale al settore privato svizzero è chiaramente incoerente con le promesse fatte a Berlino. Il fatto che l’Ucraina possa decidere essa stessa di cosa ha bisogno dalle aziende svizzere non è un argomento convincente. In una situazione di emergenza, si accettano comunque i buoni della Migros, anche se così si danneggia il negozietto di paese, che sarebbe più importante sostenere.
Rafforzare l’economia locale
Ciò di cui l’Ucraina avrebbe bisogno, sarebbe il sostegno della comunità internazionale, e quindi anche della Svizzera, a favore della sua economia e delle sue imprese. Per il 90% si tratta di PMI, che hanno dimostrato un’eccezionale resilienza nonostante le incertezze della guerra. Un recente studio della London School of Economics ha constatato che l’economia ucraina si è dimostrata sorprendentemente resistente, ma che le sue prospettive di crescita rimarranno limitate finché la guerra continuerà. I produttori ucraini stanno perdendo quote di mercato nazionale a fronte di concorrenti internazionali che non operano in condizioni di guerra. Questa perdita mostra che la sua economia relativamente aperta (soprattutto nei confronti dell’UE, grazie all’accordo di associazione) non si adatta bene alle condizioni in tempi di guerra. In questa situazione, l’aumento degli acquisti pubblici da parte dello Stato di beni e servizi da imprese private ucraine è uno strumento importante per rafforzare la resistenza dell’economia ucraina durante la guerra e per sostenere la capacità produttiva e l’occupazione. Così l’economia ucraina al contempo può prepararsi alla ripresa e alla ricostruzione future.
Promuovere il “Made in Ukraine”
I Paesi donatori, inclusa la Svizzera, dovrebbero quindi perseguire una “offensiva di localizzazione” per l’Ucraina, al fine di garantire e sviluppare le capacità nazionali. Dovrebbero sostenere il programma di sovvenzioni del governo ucraino “Made in Ukraine” volto ad aumentare la produzione nazionale. Dovrebbero fare dell’impiego di semilavorati locali (local content) e degli acquisti locali una condizione del sostegno finanziario al Paese, in maniera che gli aiuti per l’Ucraina siano spesi in Ucraina. Infine, dovrebbe rientrare in questo approccio anche la promozione del trasferimento tecnologico per l’economia ucraina. Il risultato non sarebbe solo un aumento del gettito fiscale, ma anche entrate di divise grazie all’incremento delle esportazioni, entrambe necessarie per rimborsare i prestiti per la ricostruzione concessi dalla comunità internazionale (principalmente l’UE).
Inoltre, i Paesi donatori dovrebbero promuovere la cooperazione tra le loro imprese e quelle ucraine nella produzione di beni (ad esempio attraverso joint venture o consorzi) con modelli assicurativi contro i rischi di guerra e finanziamenti favorevoli. Ciò può rafforzare la resilienza dell’economia ucraina nel breve termine, finché la guerra continua, e nel medio-lungo termine contribuire alla sua integrazione nelle catene produttive globali. Le misure della prima fase dei piani svizzeri sarebbero quindi ragionevoli, con le opportune condizioni quadro.
La ricostruzione deve essere pianificata tenendo conto della transizione verso un’economia verde, sia per rendere l’economia ucraina sostenibile sia per facilitare l’allineamento al Green Deal dell’UE. Gli investimenti nelle energie pulite saranno fondamentali, così come la decentralizzazione della produzione energetica (l’Ucraina ha un gran numero di piccole centrali elettriche), per ridurre la vulnerabilità agli attacchi russi. I partner e gli investitori esteri dovrebbero sostenere le aziende ucraine a cui mancano le competenze e il capitale umano e assisterle nell’implementazione di tecnologie all’avanguardia (comprese quelle a zero emissioni). I piani della SECO potrebbero contribuire anche a questo obiettivo.
Finanziare le imprese
C’è un’enorme carenza di fondi per finanziare la modernizzazione dell’industria ucraina, necessaria per la ricostruzione. In particolare nel settore dei materiali da costruzione e della metallurgia, dove alcune strutture risalgono ancora all’era sovietica, urgono misure di decarbonizzazione. Per stanziare i fondi necessari a lungo termine per simili progetti di reindustrializzazione, sarebbe opportuno creare una banca ucraina per lo sviluppo. Partner occidentali come la Svizzera potrebbero aiutare Kiev a raccogliere fondi e fornire garanzie per realizzare il finanziamento delle imprese ucraine su larga scala.
Il nascente settore delle materie prime dell’Ucraina mostra la necessità di maggiori finanziamenti e di una politica industriale mirata. A Berlino, i rappresentanti dell’UE hanno accolto con favore le enormi riserve di «materie prime critiche» dell’Ucraina, che la Commissione europea considera fondamentali per l’economia europea. L’Ucraina possiede 22 dei 34 minerali considerati essenziali per garantire la cosiddetta “autonomia strategica” dell’UE o addirittura la “sovranità europea”. Una banca ucraina per lo sviluppo potrebbe sostenere le imprese nazionali a diventare protagoniste di questo settore emergente e massimizzare la creazione di valore in Ucraina.
È urgente correggere il tiro
Per Alliance Sud è chiaro che alcune misure della prima fase dei piani della SECO possono essere sensate se creano posti di lavoro, favoriscono il trasferimento tecnologico (in particolare quello “verde”), prevedono partenariati con le imprese locali e se si garantisce che nessuna impresa locale venga soppiantata a causa della promozione di imprese svizzere. È urgentemente necessario un resoconto trasparente sui piani concreti, in modo da poterne valutare i benefici o i danni. In ogni caso, l’aiuto svizzero dovrebbe concentrarsi sul sostegno al settore privato locale e all’economia ucraina. A tal fine occorre innanzitutto denaro e sarebbe meglio che la Svizzera impiegasse i canali multilaterali esistenti destinati a questo scopo piuttosto che coltivare la “Swissness” in Ucraina.
La seconda fase, che punta solo ad assicurare una “fetta della torta” della ricostruzione all’industria svizzera delle esportazioni, sarebbe chiaramente contraria agli interessi dell’economia ucraina. Eppure, la stabilità dell’economia ucraina a lungo termine andrebbe a maggior vantaggio della Svizzera rispetto a portafogli ordini completi di singole imprese. Questi piani andrebbero quindi fermati. Oltretutto è evidente che queste attività rientrano solo marginalmente tra le priorità della cooperazione internazionale della Svizzera e quindi non dovrebbero essere finanziate dal bilancio della CI.